Remy Gardner si racconta a Palmen in Motorradsport

Remy Gardner
Losail 2020.

Negli anni ’80 e ’90, Wayne Gardner conquistava il suo posto nella storia del motociclismo collezionando vittorie, podi e un titolo iridato nel Mondiale 500cc (1987), oltre a quattro successi nella 8 Ore di Suzuka (1985, 1986, 1991 e 1992). Negli ultimi anni, invece, si è messo in luce a livello internazionale suo figlio Remy, ora protagonista del Mondiale Moto2.

Classe 1998, da quattro anni Remy Gardner è impegnato in pianta stabile nella “middle class” del Motomondiale. Il giovane australiano vanta già un podio e altri piazzamenti nella top 5 e ha iniziato la stagione 2020 con un promettente quinto posto in rimonta a Losail. Martedì 19 maggio, Gardner è stato intervistato in diretta Instagram da Palmen in Motorradsport, con cui ha parlato di diversi argomenti: l’attualità, le ultime stagioni, l’esordio iridato, gli inizi della sua carriera e altro ancora. (qui il video della diretta, in inglese).

Remy, innanzitutto come stai? Come vivi questo periodo?

Sto bene, passo il tempo allenandomi e lavorando nella mia officina. Per due settimane non ho potuto lavorare a causa del lockdown (da diversi anni Remy vive in Spagna, ndr) e prima della chiusura ho preso la mia moto da trial e l’ho portata a casa, per allenarmi in giardino. A casa mi sono allenato molto e non mi sono annoiato, ma ora che si può nuovamente uscire…Va molto meglio!

 

Puoi parlare della tua attività?

Già da ragazzino prendevo in mano gli attrezzi e lavoravo sulle mie minimoto. All’inizio lavoravo il legno, quando avevo circa 12 anni, e poi ho iniziato gradualmente a fare altrettanto con l’acciaio. Dopo il mio sedicesimo compleanno ho iniziato a costruire cose come rampe per skateboard e da lì ho fatto progressi costanti, arrivando poi a lavorare su moto e macchine. Inoltre, mi prendo cura delle mie moto e faccio anche saldatura…Lavoro molto, sì! (ride, ndr)

 

Parlando invece di gare, tu sei uno dei non tanti piloti che hanno già corso quest’anno, poiché la Moto2 ha iniziato la stagione in Qatar. Com’è andata?

È stato un weekend abbastanza difficile. Siamo sempre stati veloci, ma nelle prove del venerdì ho avuto un brutto highside alla prima curva e ho battuto la testa abbastanza duramente, oltre a rompermi una costola. Nelle FP3 ho spinto troppo per guadagnare l’accesso diretto alla Q2 e sono caduto nuovamente, però sono riuscito comunque a raggiungere questo obiettivo e a qualificarmi quinto. La partenza è stata abbastanza buona, ma poi sono rimasto bloccato nel gruppo e a un certo punto, a metà gara, ero intorno alla dodicesima posizione. Non stava andando bene: continuavo a rimanere coinvolto in battaglie e a volte venivo spinto fuori pista. A cinque giri dal termine mi sono tolto dalla bagarre e da lì ho iniziato a recuperare posizioni su posizioni, fino ad arrivare quinto. Con un giro in più sarei arrivato sul podio, ma sono comunque contento, perché nonostante una costola fratturata ho lottato duramente e ho fatto una bella rimonta. 

 

Questo è certamente di ottimo auspicio per le prossime gare.

Sì, siamo stati bravi. Durante l’inverno abbiamo lavorato duramente per migliorare rispetto allo scorso anno. Io e il mio capotecnico abbiamo cambiato approccio e in più ho modificato il mio piano di allenamento. Inoltre, ho imparato a ragionare di più in pista e a non perdere la calma nelle situazioni difficili. È stato fatto un grande lavoro durante il pre-campionato e ne stiamo già raccogliendo i frutti. Ora speriamo di tornare a correre presto!

 

Remy Gardner
Termas de Río Hondo 2019.

 

Nel 2019 hai finalmente ottenuto il tuo primo podio, quando sei arrivato secondo in Argentina. Com’è stato?

È stato un weekend fantastico e una tappa fondamentale per la mia carriera. Tutto ha funzionato per il meglio e sono davvero contento.

 

Sei al tuo quarto anno completo nel Mondiale Moto2 e nelle stagioni passate hai avuto diversi alti e bassi. Cosa puoi dire a riguardo?

Certamente mi è mancata la costanza e questo è principalmente dovuto al fatto di non avere una moto competitiva, anche se sono migliorato anno dopo anno. Ho esordito durante la stagione 2016 col team Tasca Racing, che purtroppo non era tra le squadre di punta. Nel 2017 sono passato al team Tech 3 e lì ho faticato molto con la Mistral: non era il miglior telaio del lotto e dopo l’annuncio del passaggio ai motori Triumph, il team ha fermato lo sviluppo della Mistral e quindi per due anni abbiamo usato sempre lo stesso materiale, senza aggiornamenti. Abbiamo dato il massimo, ma semplicemente non potevamo raggiungere i risultati sperati.
Nel 2019 sono passato alla Kalex del team Stop and Go e ho avuto una stagione abbastanza buona. Avrei voluto ottenere di più, ma ho commesso diversi errori e ho avuto anche un po’ di sfortuna. Ho comunque imparato molto e finalmente mi sono giocato le prime posizioni. Potevo fare di meglio, ma è stato comunque un anno positivo.

 

Com’è stato il passaggio dai motori Honda CBR600RR ai Triumph 765?

Richiedono uno stile diverso, anche se il passaggio dagli pneumatici da 195 mm a quelli da 200 ci ha riavvicinati al modo di guidare dell’era Honda. Con le gomme da 200 mm puoi riprendere il gas più facilmente e hai un maggiore angolo di piega. Personalmente preferivo le gomme da 195: con quelle non potevi accelerare se la moto non era del tutto dritta e questo rendeva la guida più “MotoGP style”. Ciononostante, mi trovo bene col motore Triumph e dopo il primo giro che ci ho fatto non riuscivo a smettere di sorridere.

 

Quale consideri la tua gara più bella nel Mondiale Moto2, a parte il podio del 2019 e la gara di quest’anno a Losail?

Il GP di Silverstone dell’anno scorso, dove sono arrivato quarto. Ero a cinque secondi dal gruppo di testa e negli ultimi giri ho recuperato fino a prenderli. Volevo salire sul podio, ma Brad Binder frena davvero come un pazzo, diciamo, e alla fine mi sono dovuto accontentare del quarto posto.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                          

 

Andando ancor più indietro nel tempo, puoi parlare di quando hai corso nel Mondiale Moto3 nel 2015?

È stata una stagione deludente. Il team CIP ha sempre fatto un lavoro eccezionale, ma guidavo la Mahindra e come moto era molto lenta nei tratti veloci. In certi circuiti perdevo tantissimo: a Sepang, per esempio, prendevo due secondi al giro solo sui rettilinei. Sono andato a punti solo a Phillip Island ed ero costantemente nelle retrovie. Ogni mia stagione nel Motomondiale è stata difficile, ma quella in Moto3 ancor di più, anche perché ero già un po’ troppo alto e pesante per quelle moto.

 

Remy Gardner
Austin 2015. Credit: CIPMoto

 

E poi sei passato alla Moto2.

Avevo firmato per correre nel Mondiale col team Italtrans, ma poi la gestione della squadra è passata ad altre persone e quindi mi sono trovato senza moto. A quel punto sono passato al CEV Moto2 sperando di far bene, ma spesso sono stato bloccato da problemi tecnici. Una situazione difficile, che è cambiata quando il team Tasca Racing mi ha proposto di sostituire Alessandro Tonucci. A quel punto sono arrivato al Mondiale e nelle gare che ho fatto ho raccolto alcuni buoni piazzamenti a punti. 

 

Parlando invece degli inizi della tua carriera, come è partito tutto? Quanto ha influito l’essere figlio di un ex-pilota di successo?

Non è il motivo per cui ho iniziato, è partito tutto da me. All’inizio giravo con la minimoto attorno alla nostra fattoria e non lo facevo neanche con lui, bensì con mio fratello. A nove anni ho iniziato a dire che volevo correre e mio padre non voleva, perché diceva che era troppo pericoloso e difficile.
A un certo punto mi hanno invitato a fare una gara di motocross e l’ho vinta. Ero felicissimo e volevo continuare lì, ma mio padre mi ha detto: “No, se vuoi fare motocross devi prima provare il dirt track”. Il bello è che una volta che ho iniziato a fare dirt track, mi è venuta voglia di provare le corse su asfalto. Papà ha detto “Sì, va bene”, ma si vedeva che non era affatto convinto…

 

E come sono state le tue prime stagioni?

La mia prima gara è stata ad Albacete, nella Honda NSF100 Cup, ed è stata un disastro…I piloti europei andavano molto più forte di me e tra l’altro, con alcuni di loro ho corso o corro tuttora nel Motomondiale. La mia prima stagione, invece, l’ho disputata nel 2011 all’interno del Campeonato Mediterráneo de Velocidad. Ho corso nella PreMoto3 col team Monlau e sono arrivato secondo grazie anche a una vittoria. Come inizio non è stato male…
Nel 2012, a soli 14 anni, sono passato al CEV Moto3 con una Moriwaki, ma la moto non era competitiva e quindi non ho ottenuto risultati. Nelle due stagioni successive ho corso col team Laglisse e insieme a loro ho ottenuto alcuni podi.

 

Chi è il pilota che ti ha impressionato maggiormente, tra quelli con cui hai corso o corri tuttora?

Io (ride, ndr). Seriamente parlando, dico Luca Marini. Quando abbiamo corso insieme nella Honda NSF100 Cup e nel CEV non era così veloce e mi ha impressionato la sua crescita negli anni. Ora è uno dei migliori piloti del Mondiale Moto2.

 

Remy Gardner
Remy in azione nella Honda NSF100 Cup.

 

Tornando a te: secondo alcune voci, l’anno scorso eri tra i candidati per passare in MotoGP…

Sì, confermo. C’era la possibilità di correre con la KTM, ma ho rifiutato per fare un altro anno di Moto2. Se devo passare alla classe regina, voglio farlo quando ho l’opportunità giusta.

 

Tuo padre Wayne ha vinto ben quattro volte la 8 Ore di Suzuka. Hai mai pensato di farla anche tu?

L’anno scorso avevo un’offerta per parteciparvi, ma ho rifiutato. Il mio obiettivo è correre in MotoGP e Suzuka è una pista molto pericolosa. Ad oggi è troppo rischioso per me, ci penserò una volta finita la mia carriera in MotoGP. In ogni caso ammetto che vorrei provare a farla e sarebbe bellissimo vincerla come ha fatto mio padre.

 

In conclusione, vorresti ringraziare qualcuno per quanto hai vissuto finora da pilota?

Sì. La prima persona che ringrazio è ovviamente mio padre, senza il quale non sarei qui, e poi sono molto grato a Hervé Poncharal per avermi fatto debuttare in pianta stabile nel Mondiale Moto2. Ma non solo Poncharal, ringrazio tutti i team che mi hanno dato la possibilità di correre con loro, più tante altre persone che non riesco a nominare.

 

Palmen in Motorradsport ringrazia Remy Gardner per la disponibilità e chi ha reso possibile questa intervista. Good luck for your future, Remy!